Pensare in grande con «gli occhi della fede»

Di Giuseppe Lorizio apparso su Roma7, 17 settembre 2023

L’esperienza del Giubileo va pensata e vissuta come una risposta alla domanda di Lutero e di ciascuno di noi: «Come posso avere un Dio misericordioso?» che, riflettendo sulle indulgenze, possiamo riferire al Dio “indulgente”. Ci accompagna la consapevolezza che, nel nostro contesto culturale così come si esprime nel linguaggio comune, l’indulgenza è sintomo di debolezza. Un giudice, un docente, un’autorità… indulgenti vengono interpretate come figure scialbe, poco decisioniste e fondamentalmente ingiuste. Eppure, il Dio di Gesù di Nazaret si presenta col volto dell’indulgenza, che risplende ad esempio nell’episodio dell’adultera, narrato nel cap. VIII del IV vangelo. Gesù contrasta il fondamentalismo intransigente di chi si appresta a lapidare la donna rea e le offre un’altra possibilità. Ma questo è solo un esempio dell’indulgenza del Dio dei cristiani. Pensiamo allora il dono gratuito dell’indulgenza che riceveremo nel Giubileo come il rendersi presente della misericordia divina nella nostra esistenza. È la debolezza del Dio neotestamentario che si oppone a una visione faraonica e onnipotente, in quanto sappiamo da Gesù e dalla Chiesa che questo Dio ha un debole per l’umanità e per ciascuno di noi, tanto da donare il suo Figlio per la nostra salvezza. Con la parola “indulgenza” è connesso il concetto del “merito”. Sappiamo bene che non si tratta dei “nostri meriti”: «Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie. I nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva: Gesù Cristo Signore» e, già nel canone romano: «Ammettici a godere della loro sorte beata [di Maria e dei santi] non per i nostri meriti, ma per la ricchezza del tuo perdono», così preghiamo e così crediamo, nella convinzione che non sono le nostre opere ad ottenerci la grazia che salva, ma la fede teologale, anch’essa dono di Dio. Non si partecipa dunque al cammino giubilare per meritare l’indulgenza. La meritocrazia non è prospettiva del credente peccatore di fronte all’Eterno giudice misericordioso. Il cammino non è un percorso individuale, ma comunitario. La stessa dottrina delle indulgenze si innesta nella prospettiva della sanctorum communio, che è il nome della Chiesa nel simbolo di fede più antico. Tale attitudine comunitaria non riguarda solo la modalità terrena di vivere l’anno giubilare attraverso, ad esempio, il pellegrinaggio della propria comunità di appartenenza, ma va vissuta anche in connessione, non virtuale, ma reale, con la chiesa dei santi che sono nell’altra vita. Si attua così uno scambio di doni fra i santi e i beati, noi e coloro che ci hanno preceduto e che abbiamo amato. In questo senso la comunione dei santi, ossia la Chiesa, non può essere vissuta e interpretata solo in chiave sociologica: il Giubileo ci fa “pensare in grande” questa storica e fragile comunità alla quale siamo lieti di appartenere. Si tratta di attivare quelli che il teologo gesuita Pierre Rousselot chiamava “gli occhi della fede”, che spesso bendiamo nel nostro quotidiano misurarci con le piaghe di una Chiesa chiamata quotidianamente a riformarsi.

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