
Rubrica Verso il Giubileo. Prof. Giuseppe Lorizio su Roma Sette 12 Novembre 2023.
ll viandante dello spirito è chiamato ad intraprendere un cammino, in compagnia del genio ebraico di Franz Rosenzweig, così come disegnato nel suo capolavoro, che definire un “libro magico” è indicarlo come imprescindibile per la nostra (ebrei e cristiani) cultura, La stella della redenzione. Giunto a destinazione il nostro pellegrino si trova dinanzi a una “porta” che si sta schiudendo e, voltandosi indietro, si accorge di aver effettuato un percorso che dalla morte, con l’angoscia che questa fondamentale umana esperienza induce, attraverso la rivelazione dell’amore (“forte come la morte”) giunge alla vita. E la porta non si sta aprendo per farlo entrare in un tempio o santuario, bensì per condurlo ad uscirne, dopo l’esperienza di conversione che ha vissuto a contatto con la divina misericordia. Una porta in entrata il genio filosofico dell’Occidente l’aveva già indicata attraverso la scritta posta sull’architrave del tempio di Delfi. Il monito «Conosci te stesso!» era lì «a testimonianza di una verità basilare che deve essere assunta come regola minima da ogni uomo desideroso di distinguersi, in mezzo a tutto il creato, qualificandosi come “uomo” appunto in quanto “conoscitore di se stesso”. Un semplice sguardo alla storia antica, d’altronde, mostra con chiarezza come in diverse parti della terra, segnate da culture differenti, sorgano nello stesso tempo le domande di fondo che caratterizzano il percorso dell’esistenza umana: «chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita?”
La Chiesa non è estranea, né può esserlo, a questo cammino di ricerca. Da quando, nel Mistero pasquale, ha ricevuto in dono la verità ultima sulla vita dell’uomo, essa s’è fatta pellegrina per le strade del mondo per annunciare che Gesù Cristo è “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6)» (Fides et ratio, 1). Ora, però, dopo aver compiuto l’ingresso nel tempio ed esserci riconciliati con Dio, noi stessi e gli altri, la prospettiva si rovescia e l’invito è ad uscire dal tempio, dal sé, dall’introspezione per abbracciare la vita, dopo averne percepito il senso: «Camminare in semplicità con il tuo Dio: qui non si richiede nulla più della completa presenza della fiducia. Ma fiducia è una parola grande. È il seme da cui crescono fede, speranza e amore ed il frutto che da essi matura. È la cosa più semplice di tutte e proprio per questo la più difficile. Ad ogni istante essa osa dire “è vero!” alla verità. Camminare in semplicità con il tuo Dio. Le parole stanno scritte sulla porta, sulla porta che dal misterioso-miracoloso splendore del santuario di Dio, dove nessun uomo può restare a vivere, conduce verso l’esterno. Ma su che cosa si aprono allora i battenti di questa porta? Non lo sai? Sulla vita”» ((Franz Rosenzweig). L’esperienza del Giubileo ci chiama a riconciliarci con la vita, nonostante il contesto nel quale viviamo sia intriso da una cultura di morte. E questo abbraccio è destinato a diventare scelta anche politica a strenua difesa del vivente, soprattutto nella sua fragilità di embrione e di malato terminale. La nostra fedeltà alla vita sarà la cifra che ci consentirà di cogliere il dono del Giubileo nella sua radicale autenticità.
