Di Giuseppe Lorizio, su RomaSette 26 Novembre 2023

Nelle litanie lauretane che la pietà popolare dedica alla Vergine Madre, ripetendole come un mantra, perché le invocazioni possano penetrare nel cuore e nella mente di quanti le esprimono, rinveniamo un riferimento, che
potremmo chiamare “giubilare”, alla “porta”, allorché
denominiamo Maria “ianua coeli” (“porta del cielo”).
Il nesso con la “porta santa” viene spontaneo, ma forse dovremmo cercare di pensare la formula nel suo significato più profondo, in modo da ripeterla con maggiore consapevolezza. Nel Nuovo Testamento Gesù indica se stesso come la “porta”: «In quel tempo, Gesù disse: “In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E
quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e
distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”» (Gv 10, 1-10).
E il pastore “spinge fuori le pecore”, invitandole ad attraversare la soglia dell’ovile per aprirsi a quel grande prato che è il mondo. Sarebbe assurdo e controproducente contrapporre l’invocazione mariana a questa parabola del Figlio. E possiamo cogliere la pertinenza della duplice metafora se rovesciamo la prospettiva. Nel nostro sentire comune siamo portati a pensare che Maria è “porta del cielo” nel senso che ci conduce in Paradiso come ha condotto Dante alla visione dell’Assoluto trinitario, lasciandoci entrare nel mistero del Regno. Ed è senz’altro vero, ma in seconda istanza. Innanzitutto, Maria schiude la porta del cielo perché il Verbo esca e raggiunga la nostra terra per annunziare e realizzare la nostra redenzione. Grazie
alla Vergine Madre il cielo non resta chiuso e blindato nella sua assoluta beatitudine, ma decide di aprirsi per incontrare le creature nel loro quotidiano affannarsi e nella loro continua ricerca di pace, di perdono, di armonia, di giustizia, di autentica libertà. Ed ecco la “ianua coeli”, con un incredibile paradosso, quale solo le verità di fede possono sopportare, diviene “Madre di Dio”, sconvolgendo ogni logica umana, perché si faccia strada nelle nostre menti e nei nostri cuori la logica di Dio. Con questa consapevolezza ci accingiamo a celebrare la solennità dell’Immacolata
Concezione della fanciulla di Nazaret, che, per questa sua prerogativa, non sfugge alla redenzione operata dal Verbo incarnato, ma esprime per noi come tale salvezza dal peccato possa realizzarsi nella sua assoluta radicalità, con tutto il vigore che il mistero dell’Incarnazione contiene ed annuncia.
