Di Giuseppe Lorizio su RomaSette 25 Febbraio 2024

I simboli della nostra fede, innanzitutto l’apostolico e il niceno-costantinopolitano, si aprono con la parola “credo” che coinvolge e al tempo stesso interpella quanti la pronunziano. Se si riflette in profondità sull’atto di fede e sulle sue implicanze, si scopre che la risposta alla salvezza offerta da Cristo comporta ed implica il coinvolgimento dell’uomo nelle sue dimensioni costitutive, che, schematizzando e semplificando, possiamo indicare come dimensione volitiva, dimensione conoscitiva e dimensione affettiva. Infatti, se riflettiamo sulla nostra esistenza personale ci ritroviamo come espressione di emozioni, riflessioni e decisioni che siamo chiamati quotidianamente a vivere. Un credente che nel vissuto quotidiano della propria fede escludesse una di queste componenti, non vivrebbe in pienezza la propria adesione o sequela al mistero di Cristo. Certamente è possibile che, in base al carattere, alla storia personale, ai vissuti interpersonali dei singoli, si dia la precedenza ad una delle tre suddette dimensioni sulle altre, le quali tuttavia non possono essere in alcun modo escluse col rischio di mutilare la propria fede, che non può ridursi ad un atto solamente intellettuale (= intellettualismo della fede), unicamente volitivo (= fede velleitaria) o esclusivamente affettivo (= sentimentalismo della fede). L’atto di fede nel Dio Unitrino, che la Parola di Dio propone e il simbolo attesta, conduce alla salvezza. È infatti ormai acquisito ad esempio sia da parte protestante che cattolica che non sono le opere a salvarci, ma la fede e che l’agire è la necessaria fioritura del credere, come ha affermato la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, sottoscritta nel 1997 da rappresentanti della Chiesa cattolica e di quella luterana. In essa leggiamo: «Insieme crediamo che la giustificazione è opera di Dio uno e trino. Il Padre ha inviato il Figlio nel mondo per la salvezza dei peccatori. L’incarnazione, la morte e la resurrezione di Cristo sono il fondamento e il presupposto della giustificazione. Pertanto, la giustificazione significa che Cristo stesso è la nostra giustizia, alla quale partecipiamo, secondo la volontà del Padre, per mezzo dello Spirito Santo. Insieme confessiamo che non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere le buone opere. Tutti gli uomini sono chiamati da Dio alla salvezza in Cristo. Soltanto per mezzo di lui noi siamo giustificati dal momento che riceviamo questa salvezza nella fede. La fede stessa è anch’essa dono di Dio per mezzo dello Spirito Santo che agisce, per il tramite della Parola e dei Sacramenti, nella comunità dei credenti, guidandoli verso quel rinnovamento della vita che Dio porta a compimento nella vita eterna» (nn. 15-16). Una più profonda e assolutamente non magica o superstiziosa comprensione del tema delle indulgenze, di cui abbiamo già parlato, e della giustificazione per fede dovrebbe consentire di vivere il Giubileo come evento ecumenico e non solo cattolico-romano, nella consapevolezza che abbiamo tutti bisogno di riconciliarci col Signore e tra noi.
