
Di p. Marco Staffolani, su Roma Sette 6 Ottobre 2024.
Siamo alla terza delle quattro puntate del nostro ideale pellegrinaggio (pre-giubilare) nelle basiliche papali, e proseguendo il nostro andare, da San Giovanni in Laterano per Via Merulana, arriviamo alla basilica di Santa Maria Maggiore, situata in Piazza dell’Esquilino sulla sommità dell’omonimo colle.
Secondo la tradizione la basilica è di antichissima fondazione, fu edificata nel pontificato di papa Liberio (352-366), e successivamente modificata e rivista da Sisto III (432-440) che la dedicò al culto mariano, per via della “divina maternità” appena proclamata nel concilio di Efeso (431).
All’interno della basilica, incastonata nella cappella voluta da papa Paolo V Borghese, una delle più fastose di Roma, troviamo la famosissima effigie bizantina di Maria e il Bambino, che nel XIX secolo è stata rinominata Salus popoli Romani per sottolineare come la Vergine sia sempre stata strumento di conforto per la città di Roma e per l’intero popolo cristiano.
L’icona, nella sua collocazione, viene idealmente portata in processione da sette angeli in bronzo dorato disposti intorno alla cornice del quadro. Sembra quasi che questi angeli escano dall’enorme sfondo blu di lapislazzuli per porgere dal cielo l’effige della Madonna al mondo terreno, o se vogliamo in maniera più teologica, per ricordarci quale grande dono Dio ci ha fatto nell’evento dell’Incarnazione.
Sicuramente tale “processione angelica” allude anche ai numerosi interventi salvifici ricondotti alla Salus, per esempio quello del 590, quando Papa Gregorio l’avrebbe portata in processione per le strade di Roma per ottenere la fine della pestilenza, e, presso il Mausoleo di Adriano, al popolo romano apparve l’Arcangelo Michele a confermare, che per intercessione di Maria, l’epidemia era conclusa.
Riflettiamo allora sul termine Salus: anche se questo sostantivo può indicare una lecita richiesta e preghiera per la salute (a livello psicofisico), legata alla nostra dimensione terrestre, più correttamente il termine deve essere inteso come salvezza eterna da “attingere” (in senso teologico e successivamente escatologico) confidando nelle promesse del Vangelo, guardando alla vita di Gesù e di Maria che si apre ad una dimensione ultraterrena, che sconfigge la morte.
E, ritornando all’effigie di Maria, questa guarda lo spettatore intensamente, attraverso occhi, al contempo, di dolcezza e di serietà: a dire che conosce non soltanto il destino di suo Figlio (tenuto in braccio “dalla nascita alla morte”), ma anche il destino di tutti noi, figli di adozione del Padre, e dunque figli anche suoi, nella misura in cui le si attribuisce il titolo di Madre della Chiesa.
È interessante notare che il piccolo Bambino è vestito addirittura da sapiente filosofo, con il libro della saggezza in mano: nelle braccia di Maria c’è letteralmente “il destino dell’umanità”, un destino di speranza, che nell’immediato si sperimenta come consolazione perché Dio, attraverso Maria, non si è dimenticato di noi e ci ha visatati come “un sole che sorge dall’alto”; ma a questo dobbiamo aggiungere la solennità della potenza insita nel progetto divino: Dio non si fa “semplicemente” bambino per accattivare la nostra affettività, ma nella pienezza della sua umanità Gesù proclama di essere Via, Verità e Vita, per tutti, per l’approdo finale in Lui di ogni ricerca di senso e di ragione, per tutto l’universo creato che in Lui si ricapitola.
Ed infine, mi piace ricordare come l’icona della Salus Popoli Romani è molto legata all’identità di Roma e dei suoi Papi. Papa Francesco in particolare pone i suoi viaggi apostolici sotto la sua protezione, a cui è solito fare visita prima della partenza e dopo il ritorno. Così facendo si rifà a una tradizione dei Gesuiti, che sin dall’origine della compagnia di Gesù ne promossero il culto e distribuirono copie dell’icona in tutto mondo. Che il nostro cammino verso il Giubileo prosegua, allora, sotto la protezione materna della Vergine Madre.
P. Marco Staffolani
