San Paolo, evangelizzatore e “pellegrino di speranza”

di Marco Staffolani su Roma Sette 20 Ottobre.

Nella Basilica di San Paolo fuori le mura, quarta ed ultima tappa del nostro mini pellegrinaggio, nella targa alla base della statua dedicata all’apostolo delle genti che troneggia nel quadriportico, troviamo scritto predicatori veritatis, doctor gentium. Vorrei ripercorrere alcuni passi tra gli innumerevoli che ci arrivano dal nuovo testamento, in particolare dalle Lettere a diverse comunità e dagli Atti degli Apostoli, che ci testimoniano come il gigante della fede san Paolo sia un esempio mirabile di “pellegrino di speranza”.

Iniziamo dai viaggi apostolici. Il pellegrino è colui che si mette in cammino perché ha incontrato la speranza stessa, e ha bisogno di comunicarla a quanti più possibile, anche se questo costa sacrifici per la difficoltà del viaggiare. I mezzi di trasporto dell’epoca erano piuttosto inaffidabili e spostarsi per mare e per terra poteva risultare rischioso se non mortale. Dai documenti del nuovo testamento gli studiosi ricostruiscono gli spostamenti di san Paolo per innumerevoli città, soprattutto dell’Asia minore e della Grecia, contando in particolare tre viaggi paolini, intorno agli anni 40-50.

E adesso la predicazione. Famoso è il suo discorso all’areopago di Atene in cui Paolo predica sulla risurrezione, dichiarando di fatto passato il culto agli idoli e agli dèi presenti nella cultura ateniese. L’esito di questo discorso dal punto di vista numerico rimaneva alquanto fallimentare. Ma cosa conta in effetti della predicazione? L’adesione alla verità! Gli Atti, dopo aver constatato il dubbio della maggioranza, annotano: “alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro”. (At 17,34).

Che questo “superapostolo” (come San Paolo ironicamente dice di altri concorrenti al suo ministero) sia stato completamente favorito dalla grazia e dispensato dalle pene dei comuni mortali per assolvere al compito del missionario ed evangelizzatore? Tutt’altro. Certe affermazioni ci dicono come la sua intima relazione con Dio fosse la più comune di tutte. Le suppliche e le preghiere che Paolo fa in merito alla “spina nella carne”, in qualche modo provvidenzialmente presente per non insuperbire a causa della rivelazione avuta del “terzo cielo”, ricordano come anche lui sia andato avanti nonostante le debolezze che potevano scoraggiarlo. Quale che sia la reale natura di tale spina, (lasciamo agli esegeti la dovuta ricerca), quel che più conta è la risposta che abbiamo (anche noi lettori del nuovo testamento) da Dio sempre per bocca dell’apostolo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9).

Per noi italiani, infine, il viaggio che consacrò l’apostolo a Roma è l’ultimo narrato negli atti degli Apostoli, in cui attraverso rocambolesche avventure, compreso un naufragio, Paolo arrivò nella città eterna. Qui c’è un altro messaggio che sento di dover far risuonare, alla fine di questo piccolo cammino pregiubilare. Paolo sperimenta a Roma la prigionia. Forse qui da Roma (o da altre prigionie) Paolo scrive e condivide con i Filippesi una gioia paradossale: “in tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno… [E che] Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene (Fil 1,14.18).

Chiediamo al Signore la capacità dell’apostolo. Di viaggiare nel suo nome, e di predicarLo in ogni situazione! Buon cammino a tutti.

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