
di Marco Staffolani su Roma Sette 3 Novembre 2024
Abbiamo sperimentato i primi freddi della stagione romana e sicuramente qualcuno avrà pensato che il tempo passa veloce, non solo nel ricordo e nella preghiera per i nostri morti a cui è dedicato il mese di novembre, ma anche perché il Natale dell’evento giubilare è sempre più vicino. Sul percorso che ci rimane da compiere per arrivare all’apertura dell’Anno di Grazia, nei Primi Vespri (24 dicembre), il Papa ci permette di fare una breve sosta per riflettere sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, attraverso la sua ultima enciclica Dilexit Nos (Ci ha amati!).
La parola amare viene a sintetizzare l’essenza divina dinamica (in principio era il Verbo… eterno, preesistente, ma sempre in comunione con il Padre) che si mostra in maniera umana (Gesù Cristo…si fece carne). Tale amore si realizza nel tempo particolarmente in quel «cuore aperto [che] ci precede e ci aspetta senza condizioni» (DN2), venerato per secoli con la classica devozione a Gesù.
Possiamo allora pensare che il pellegrinaggio terreno serve per “evolvere”, per avere un cuore trasformato, quello “nuovo” dell’uomo redento (tipico del linguaggio paolino), capace di legarsi alla verità, capace di porsi le «domande che contano [per sé e per il presente]: chi sono veramente, che cosa cerco, che senso voglio che abbiano la mia vita, le mie scelte o le mie azioni[?]» ma anche per l’alterità e il futuro: «perché e per quale scopo sono in questo mondo, come valuterò la mia esistenza quando arriverà alla fine, che significato vorrei che avesse tutto ciò che vivo, chi voglio essere davanti agli altri, chi sono davanti a Dio[?]» (DN4).
Il cuore di Gesù risponde a queste domande, con un amore umano e divino: proprio sotto queste due prospettive possiamo pensare come siamo stati amati da Lui, e come Lui ci chiami ad amare, attingendo direttamente a Lui: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Occorre, anche a noi, un cuore che sappia amare in modo umano, oserei dire concreto e terreno, che veda le esigenze immediate, materiali e spirituali per riscattare la persona umana con la sua dignità (offuscata dalle conseguenze del peccato); e poi un cuore che sappia amare in modo divino, cioè capace di elevare l’umano dall’ordine naturale a quello soprannaturale (per usare un gergo classico), o meglio, per portare l’umanità oltre la temporalità e la spazialità, perché entri a far parte dell’eternità della comunione divina (prospettiva di metafisica agapica): questo accade per la tenacia e la dolcezza del cuore, che con la potenza della Parola produce il regno annunciato!
Le due visioni, umana e divina, vanno pensate in modo congiunto, senza metterle in antitesi. La prima, terrena, ha ripercussioni sull’hic et nunc, sull’esigenza che sia ripristinata la giustizia tra gli uomini, la pace tra i popoli, e, con la sensibilità a cui ci ha abituato Francesco, anche proteggere e custodire il creato intero; la seconda, divina rifacendosi ai segni tangibili, visibili e buoni della terra, ricorda dove tutto è destinato, al semper di Dio, e che amor vincit omnia. Ci guidi lo Spirito alla comprensione della verità tutta intera, e alla totalità dell’amare.
Marco Staffolani
