L’invito alla pazienza «figlia della speranza»

Roma Sette 1 Dicembre 2024 di Marco Staffolani

La rubrica volge al termine, questo è il penultimo episodio. Si sente il valore del cammino fatto “verso” il Giubileo che, adesso, è alle porte. E tale cammino si incrocia con il nuovo anno liturgico che in questa domenica, nella pericope evangelica, ci interroga sulla connessione tra il tempo presente e i tempi ultimi (Cf. Lc 21,25-28.34-36). Rileggendo la bolla di indizione, di fronte ai ricorrenti segni “cosmici” che nel vangelo atterriscono e disorientano coloro che mancano di fede (cf Lc 21, 26), Papa Francesco sembra esortare ad una virtù tanto antica ma sempre necessaria, declamata nei proverbi popolari con l’espressione “ci vuole la pazienza dei santi”.  Questa non è soltanto necessaria di fronte ad una natura capace di sconvolgere i piani umani ma anche per affrontare le “gioie e i dolori” del tempo che ci siamo costruiti infatti “nell’epoca di internet […] dove lo spazio e il tempo sono soppiantati dal “qui ed ora”, la pazienza non è di casa. Se fossimo ancora capaci di guardare con stupore al creato, potremmo comprendere quanto decisiva sia la pazienza”.

Un appello alla calma, alla interiorizzazione, a trovare un tempo per sé stessi per domandarsi il significato del tempo che scorre. «La pazienza, frutto anch’essa dello Spirito Santo, tiene viva la speranza e la consolida come virtù e stile di vita. Pertanto, impariamo a chiedere spesso la grazia della pazienza, che è figlia della speranza e nello stesso tempo la sostiene» (Bolla di Indizione del Giubileo, n. 4).

Continuando questa lettura parallela tra bolla e del vangelo, si può specificare meglio questa provvidenziale relazione tra la pazienza nel presente e la speranza nel futuro. Non si tratta semplicemente del fare cose adesso in attesa del premio futuro, di un rapporto materiale ed estrinseco di tipo do ut des (tipico del diritto romano), e nemmeno semplicemente dell’essere messi alla prova per “testare” la perseveranza in una condizione presente disagiata e poi per giustizia dare un riposo con una condizione futura agiata. Queste sono letture possibili ma non vanno al cuore del vangelo che cambia profondamente l’umano, direi irreversibilmente, nell’essere in relazione con il Creatore. Sì ha dunque a che fare con le essenze in gioco, cioè libertà e amore.

Il vangelo illumina questa tensione presente-futuro, facendo “collassare” tutto il tempo nell’hic et nunc, in un tempo che è eterno e presente proprio nell’istante in cui viene considerato perché il Creatore, che non aveva bisogno del tempo, ha creato tutto il tempo per l’uomo e, in questo tempo creato, Dio trova tempo, e diremmo anche una “tenda”, per abitare con gli uomini. Qui si raccordano l’attesa del Natale e l’attesa della seconda venuta gloriosa. Si tratta di vivere nell’attesa della novità di Dio, che è, che era, e che viene (Ap 1,8), sempre! Il pellegrinaggio terreno e il compimento di esso con la visione della città eterna (Roma) e metaforicamente il pellegrinaggio della vita e il suo compimento nella città di Dio (la Gerusalemme Celeste) ci ricordano la stretta connessione tra il viaggio e la meta, e che non può gustare l’arrivo colui che non abbia seriamente percorso il viaggio. Così nel viaggio già si conosce, in qualche modo, chi si incontrerà alla meta. Ci affidiamo alla Speranza che è già qui, perché Egli ha detto “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,18-20).

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