[di Marco Staffolani, su pensarelafede.com] Quando pensiamo ai film o alle serie tv di fantascienza potremmo essere condotti con la mente a pensare a grandi guerre tra imperi galattici, realtà virtuali in cui l’umano è diventato etereo, o ai viaggi spaziali che superano il limite della velocità della luce. Ma se guardiamo bene nelle nicchie, potremmo scoprire piccoli gioielli che pur non avendo avuto il successo del blockbuster meritano di essere visti perché fanno riflettere su un lato dell’umano che tutti noi desideriamo ma che, in una società sempre più appariscente, in cui vigono nuove declinazione della (perenne) “legge del più forte, rischiamo di non donare e di non ricevere: la dolcezza.

La proposta che vi faccio è di una di quelle pellicole che sono rimaste poco pubblicizzate proprio perché non sono eccezionali, non colpiscono per i loro effetti speciali, non meritano la menzione da Oscar. Eppure le nostre giornate quotidiane, quelle normali, quelle in cui la tecnologia sta entrando sempre più prepotentemente, avrebbero bisogno di questa “semplicità” mostrata nel film “Robot & Frank” del 2012.
Si tratta di una commedia “leggera”, dai toni tenui (ma mai ingenui), che esplora il tema della terza età attraverso la figura di un burbero anziano, “ex ladro” in pensione, oramai affetto da problemi di memoria. La vita di Frank, questo il nome del protagonista umano, viene sconvolta dall’arrivo di Robot (non viene mai menzionato con un nome proprio), un regalo “tecnologico” fattogli dai suoi figli premurosi (ma anche consapevoli del caratteraccio di Frank) che avrà la funzione di accudirlo nelle sue necessità giornaliere.

Inizialmente diffidente e ostile verso il robot, Frank stringe con esso un’improbabile quanto proficua amicizia, condividendo non solo le “faccende domestiche” e le “cure mediche” (la normale programmazione di un robot sitter del futuro), ma anche avventure e “missioni illegali” che Frank riesce a realizzare con l’aiuto di Robot per ripercorrere le orme del suo glorioso passato da rapinatore.
Il film tocca temi importanti che sono sempre più parte della nostra società reale come ad esempio nel Vecchio Continente, o in Giappone o altri contesti tecnologicamente avanzati ma privi di natalità o quasi. Si tratta allora di nostalgia, dell’inesorabilità del tempo che passa e della malattia che produce nuovi sintomi: ma in tutto questo il film mantiene un tono leggero e divertente grazie alla comicità dei dialoghi (il robot ha un suo senso dell’umorismo attraverso semplici barzellette o allusioni, che risultano terapeutiche, evitando possibili scoraggiamenti o depressioni). Il film è anche ben fatto, con un ritmo vivace della narrazione, e una recitazione espressiva dovuta alla bravura degli attori.
“Robot & Frank” è un film che tocca il cuore dello spettatore e mostra il lato umano della tecnologia, o meglio l’umanizzazione che le possiamo donare: è interessante che Robot, interpretato da Peter Sarsgaard, viene reso con una voce calma e pacata: questo permette all’oggetto tecnologico, programmato per servire, di avere in più una propria personalità e un suo modo di fare, che lo rendono un personaggio empatico a tutti gli effetti.
Senza fare troppo spoiler, il finale è degno e commisurato a tutta la storia. Si nota l’apprendimento da parte della macchina di una caratteristica umana, anche questa impopolare come la dolcezza, cioè il sacrifico e la donazione.
Non vado nei dettagli e commento semplicemente che in questa fantascienza, ricordiamolo “laboratorio del futuro”, anticipazione del “mondo che verrà”, si vede qualcosa che fa piacere. La scienza e la tecnica non sempre chiamate a far evolvere, migliorare o sostituire a ogni costo quello su cui o con cui operano.

C’è anche una “sana” chiamata, o meglio necessità, a conservare e custodire l’altro tale e quale, teologicamente parlando diremmo che si tratta di un’ “operazione di tradizione”. Ben venga allora se quell’intelligenza artificiale, di cui sentiamo tanto parlare e con cui abbiamo iniziato a chattare o chiacchierare attraverso i nostri smartphone, un giorno riuscirà a comprenderci un po’ di più, e a sollevarci da qualche peso della nostra esistenza.

E se è vero poi che le IA apprendono, e che riescono a comunicare sempre meglio con noi, non mi dispiacerebbe nemmeno un tono pacato ed aggraziato, rispettoso di ciò che sono e indice che chi ha programmato quell’ “intelligenza” ha correttamente pensato ciò che sono. Un essere umano. Che va trattato… dolcemente.
