Di che cosa è pieno il vuoto?

1 Salmo. Di Davide, quando dimorava nel deserto di Giuda.
2 O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz’acqua.
3 Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
4 Poiché la tua grazia vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.
5 Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
6 Mi sazierò come a lauto convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
7 Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
8 a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
9 A te si stringe l’anima mia
e la forza della tua destra mi sostiene.
10 Ma quelli che attentano alla mia vita
scenderanno nel profondo della terra,
11 saranno dati in potere alla spada,
diverranno preda di sciacalli.
12 Il re gioirà in Dio,
si glorierà chi giura per lui,
perché ai mentitori verrà chiusa la bocca.

Il «vuoto» dei fisici e il nulla filosofico

Il vuoto dei fisici non è il nulla dei filosofi. La fisica degli ultimi anni ci insegna che nella realtà degli esperimenti pensare che vi possa essere un “nulla assoluto”, o uno spazio completamente vuoto, è alquanto difficile.

Il «vuoto» ha sempre creato «problemi» nel corso della storia: l’espressione latina horror vacui indicava la posizione aristotelica per cui «la natura rifugge il vuoto» (natura abhorret a vacuo), tanto che, per il maestro di Stagira, ogni gas o liquido tende costantemente a riempire di sé ogni spazio, evitando così di lasciarne porzioni non occupate.

Il pensiero della scuola pitagorica antica e di quella atomista era all’opposto favorevole al vuoto: la sua «esistenza» non solo è possibile ma è un principio fondamentale affinché possano esistere le cose in modo separato le une dalle altre, ad esempio, il vuoto che permea gli atomi è quello che ne permette il movimento.

È solo grazie agli esperimenti di Torricelli del 1644 che si poté fisicamente “vedere” l’effetto del vuoto attraverso il livello di mercurio in un tubo chiuso che dipendeva dalla pressione atmosferica. L’esperimento fu confermato nel 1647 da Blaise Pascal che dimostrò che la colonnina di mercurio di Torricelli si svuotava completamente nella base se l’apparecchiatura veniva a sua volta confinata nel vuoto, ossia isolata dalla pressione atmosferica.

Oggi la scienza (e la tecnica) del vuoto trova importanti applicazioni. Dal semplice mettere «sotto vuoto» i cibi o gli oggetti per preservali dai patogeni o dallo sporco, fino alle applicazioni medicali o per le scoperte scientifiche.
Qui sulla Terra “il massimo vuoto” che siamo in grado di produrre (che si traduce con il “minimo numero di particelle per volume”), è un vuoto «quasi perfetto» che raggiungere circa 100 particelle per metro cubo. Si pensa che un vuoto ancora più spinto esista solo nello spazio intergalattico, dove sarebbero presenti una manciata di particelle.

Ma se anche fosse possibile raggiungere il vuoto senza particelle, sarebbe un vuoto perfetto? Siamo proprio sicuri che non c’è niente altro che si nasconda in quello spazio che abbiamo ripulito idealmente da ogni cosa?

Lasciando da parte l’immenso numero di neutrini, che attraversano i corpi solidi senza farsi problema alcuno, e le varie onde elettromagnetiche che il buon Faraday ci ha insegnato a schermare (e isolare) tramite la sua «gabbia», le nostre macchine per il vuoto non possono fare nulla contro diverse altre “componenti” della realtà.

Dobbiamo inoltre tenere conto delle conseguenze previste dalle due grandi teorie di inizio secolo (quantistica e relativistica) che smentiscono a priori questa «perfezione», infatti, oltre all’assenza di materia, ci servirebbe un’assenza di energia.

il “vuoto” quantistico

La meccanica quantistica ci dice che per ogni cosa, anche per lo spazio (che ci sembra vuoto) vale il principio di indeterminazione, per cui è possibile la creazione (praticamente istantanea e spontanea) di coppie di particelle coniugate (chiamate virtuali) che si annichilano tra di loro in brevissimo tempo dopo essere state prodotte dall’energia intrinseca del vuoto (che non è zero!). Questo “brulichio di particelle e antiparticelle” che ne risulta sembra essere responsabile per l’energia oscura, quella componente che fa espandere l’universo in maniera accelerata.

il “vuoto” relativistico

Dalla teoria relativistica sappiamo poi che lo spazio è pervaso anche dalle onde gravitazionali, dovute allo spostamento e al collasso di enormi masse in movimento tra loro. Già nel 2015 fu dato il premio Nobel alla collaborazione LIGO/VIRGO, per la misurazione di onde prodotte da buchi neri di «taglia stellare». E pochi giorni fa, il 29 giugno 2023, è stato dato l’annuncio di un risultato ancora più generale, della misurazione di un «fondo cosmico» di onde gravitazionali dovute a buchi neri di «taglia galattica».

Il trick che gli scienziati si sono inventati per rilevare il passaggio di questa quantità (enorme) di onde, che diventano un fondo in quanto si sommano tra loro in un lentissimo «brusio» cosmico che pervade tutto lo spazio tempo, è quello di misurare le variazioni (infinitesimali) di precisissimi «orologi cosmici» chiamate pulsar, dal loro caratteristico segnale radio che ci raggiunge in maniera ricorrente con una precisione oltremodo accurata.

Selezionando decine di queste stelle all’interno della nostra Via Lattea e distanti migliaia di anni luce da noi, e valutando, tramite una serie di radiotelescopi e dati raccolti per decine di anni, le minuscole variazioni del periodo di rotazione di questi piccoli fari galattici, gli scienziati hanno scoperto l’esistenza di onde gravitazionali ultra lunghe generate, secondo le teorie più accreditate al momento, da coppie di buchi neri supermassicci durante il processo di fusione fra due galassie.

Questi buchi neri orbitano al centro di galassie in collisione o in fusione l’una con l’altra, e durante il loro orbitare, per la teoria di Einstein si prevede che vengano emesse onde di periodo ultra lungo. Tali onde gravitazionali hanno una frequenza bassissima, paragonabile al tempo di rotazione di una galassia intorno ad un’altra, cioè di milioni di anni.

una materia … “oscura”

E ancora non basta perché a partire dagli anni ’70 ci si è accorti di un “ammanco” di materia visibile, nella misurazione della massa di alcune galassie. Tale materia, definita oscura, è una componente di materia ipotetica che non emette radiazione elettromagnetica (cioè non irradia luce così che uno strumento, tipo un telescopio, la possa osservare come sorgente luminosa) e che può essere “rilevata” solo in modo indiretto attraverso i suoi effetti gravitazionali.

L’ipotesi per questo tipo di materia è stata formulata per spiegare diverse osservazioni astrofisiche, tra cui le stime della massa delle galassie e degli ammassi di galassie, nonché le proprietà delle fluttuazioni nel fondo cosmologico.

Secondo le leggi della gravitazione standard, la materia oscura dovrebbe costituire quasi il 90% della massa presente nell’universo. Inoltre, la materia oscura costituirebbe circa il 27% della densità di energia totale dell’universo osservabile e avrebbe avuto una forte influenza sulla sua struttura ed evoluzione.

La sua composizione è ancora sconosciuta, ma gli astrofisici ipotizzano l’esistenza di nuove particelle, come le WIMP (weakly interacting massive particles). Sono in corso molti esperimenti per rilevare e studiare direttamente le particelle di materia oscura, ma nessuno ha ancora avuto successo.

uno sguardo d’insieme, su scale differenti

La creazione dunque è intrinsecamente abitata, anche dove si è più vicini possibili al vuoto ideale da altro più o meno visibile e misurabile

Non c’è struttura dell’universo, dalla scala microscopica, a quella astronomica, ove non si colga il fatto che “tra la materia”, esistono immensi spazi vuoti, o meglio in altra maniera, “tra il vuoto” ogni tanto c’è qualche atomo di materia. Al netto delle varie operazioni la materia presente è “relativamente poca”.

quello che ne risulta è un cosmo a forma di ragnatela cosmica (cosmic web)

Considerazioni filosofiche [Pascal] perdita del centro e solitudine cosmica (ripreso da Azioni Parallele)

Lo sgomento per gli spazi siderali

«Quando considero la breve durata della mia vita, assorbita nell’eternità che la precede e la segue, il piccolo spazio che riempio e che vedo, inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che mi ignorano, io mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, perché non vi è motivo perché qui piuttosto che là, perché ora piuttosto che allora. Chi mi ci ha messo? Per ordine e per opera di chi mi è stato destinato questo luogo e questo tempo?». 1

1 B. Pascal, Pensieri, trad. it. e a cura di A. Bausola, Rusconi, Milano, 1993, § 88, p. 75.

Pascal ha dato voce ad un nuovo sentimento dell’universo, conseguente alla perdita della centralità umana prodottasi con la svolta copernicana. Un tempo fonte di tutte le certezze, modello di regolarità e perfezione, dalla rivoluzione astronomica in poi il cielo è divenuto il luogo di tutti gli enigmi, troppo smisurato per poterci stare, per sentirvisi a proprio agio. Dall’universo chiuso si è passati all’universo infinito. Troppo è il divario tra il minuscolo spazio che possiamo occupare e quello immenso in cui ci troviamo. Nell’universo infinito non sappiamo dove siamo, cosa ci facciamo. Nel tempo infinito la nostra presenza si riduce ad una esistenza umbratile, destinata ben presto a sparire.

L’ignoto ci accoglie e ci avvolge da tutte le parti, e non possiamo sfuggire allo sgomento che esso ci procura.

«Vedo da ogni parte solo infinità che mi racchiudono come un atomo e come un’ombra che dura solo un istante senza ritorno»,2 

2 Ivi, § 335, p. 187.

continua ancora Pascal. Tutto è diventato problematico, ci sfugge il senso di questo nuovo disordine delle cose. E conclude:

«Il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi spaventa»,3 

3 Ivi, § 91, p.75.

dando voce in questo modo al senso di smarrimento da cui siamo presi di fronte all’immensità dell’universo. Davanti alla voragine cosmica che ci si spalanca sotto i piedi, ci coglie un brivido di terrore. Ha scritto Cioran:

«La vera solitudine ci fa sentire completamente isolati tra cielo e terra. In questo assoluto isolamento, un’intuizione agghiacciante di lucidità ci rivela tutto il dramma della finitudine dell’uomo davanti all’infinito e al nulla del mondo».
4

4 E. M.Cioran, Al culmine della disperazione, trad. it. di F. Del Fabbro e C. Fantechi, Adelphi, Milano, 1998, p. 24.

Tutte le ragioni sono venute meno, non sappiamo più a chi o a che cosa dobbiamo la nostra presenza nel tempo infinitesimo che ci è dato. Non solo ignoriamo che cosa ancora ci possa essere al di là di questo angolino di mondo in cui siamo capitati, ma il mondo stesso ignora noi, la nostra presenza.

Lo stesso sentimento risuona nel Canto notturno di Leopardi:

A che tante facelle?
che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono?

Solitudine cosmica, questa di Leopardi, che si ritrova anche nel Dialogo della natura e di un islandese, dove si prospetta la fine dell’umanità, dei viventi, dell’universo.

Un tempo sembrava che tutto fosse fatto per noi, oggi ci troviamo a fare i conti con un mondo che ci ignora, dove ci sentiamo estranei. Questo non è un mondo per umani. Forse c’è Qualcuno a cui si deve tutto questo, che potrebbe dirci le ragioni di tutto questo, ma lo ignoriamo. La presenza divina si è fatta problematica. Il cielo degli scienziati non lo prevede. Perciò, come noi ignoriamo chi o che cosa sta a capo di tutto questo, così anche siamo ignorati da chi ha voluto tutto questo, ammesso che ci sia Qualcuno che l’abbia voluto. Ma se questi governa ancora il mondo non lo sappiamo, perché anche Lui non occupa più il proscenio e si è fatto introvabile, absconditus: Dio ha smesso di rivelarsi nell’universo infinito in cui, noi, la sua creatura, siamo precipitati. La salvezza diviene dubbia, si riduce ad una scommessa. E noi siamo rimasti soli, terribilmente soli, nella solitudine degli spazi siderali che ci sgomenta.

Visione biblica, il riconoscimento del Creatore dalle sue opere.

16Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. 17 In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: Il giusto per fede vivrà.
18 Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19 poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. 20 Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa 21perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
24Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, 25perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.

Visione poetica (cristianitas)

QUESTIONE: è possibile comprendere da ciò che tiene unite le strutture galattiche, e che non è misurabile (ancora) con gli strumenti, che in qualche modo (analogico) c’è un amor (che non si vede, ma che ha effetti concreti) che move il sole a l’altre stelle? (Paradiso, XXXIII, v. 145, ultimo verso del Paradiso e della Divina Commedia di Dante Alighieri)

Dopo la fugace visione di Dio, realizzazione piena del suo itinerario verso Dio, Dante sente che l’Amore “che move il sole e l’altre stelle” sta ormai muovendo anche il suo desiderio e la sua volontà (vv. 142-145). Dante così si riconosce “nella solitudine infinita del solo Dio“, collocandosi nella perfezione del moto circolare divino.

Sant’Agostino

«Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te.»
«Ci hai creati per Te, [Signore, ] e inquieto è il nostro cuore fintantoché non trovi riposo in Te.»

«Tardi ti ho amato,
bellezza così antica e così nuova,
tardi ti ho amato.
Tu eri dentro di me, e io fuori.
E là ti cercavo.
Deforme, mi gettavo
sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te
quelle creature che non esisterebbero
se non esistessero in te.
Mi hai chiamato,
e il tuo grido ha squarciato la mia sordità.
Hai mandato un baleno,
e il tuo splendore
ha dissipato la mia cecità.
Hai effuso il tuo profumo;
l’ho aspirato e ora anelo a te.
Ti ho gustato,
e ora ho fame e sete di te.
Mi hai toccato,
e ora ardo dal desiderio della tua pace».